martedì 20 agosto 2013

Il giorno delle nozze

Era il giorno del mio matrimonio e, per coerenza, non volevo sposarmi senza prima essermi liberata dagli ultimi “peccati”.
Dopo essermi recata  dalla parrucchiera per una semplicissima acconciatura, sono entrata nella vicina Chiesa di Santa Maria di Campagna.
Ho scelto quella chiesa perché non era la mia ed era la più vicina altrimenti avrei rischiato di perdere per strada il proposito di confessarmi. Un altro motivo era perché c’erano i frati, solitamente più  a contatto con la gente e con la realtà,  considerati quindi più benevoli dei preti.
L’unica cosa di cui ero sicura era che volevo Mario, lo amavo e vedevo la mia vita solo con lui che mi sposava in Chiesa solo per amore mio, ma era ugualmente rispettoso del rito che lo attendeva.
Entrata in quella  Chiesa, intimidita dalla maestosità e dal buio violato qua e là da qualche gioco di luce che dai vetri colorati penetrava e colpiva i dipinti sacri, cercavo invano un frate, ma non  era  presente nessuno e i confessionali erano vuoti.
Ho suonato il campanello apposito per la chiamata dei fedeli che vogliono interloquire e dopo un po’ è arrivato.
Avevo già pensato, nel frattempo, di scappare via, ma non potevo fare questo proprio il giorno del mio matrimonio……
Ero timida, ma pensavo che non fosse giusto sentirsi così a disagio, in fondo il compito della Chiesa è quello di accogliere i peccatori, non di giudicare!
Poco dopo, nel confessionale, ero alle prese con l’Atto di Dolore, preghiera che ho sempre avuto paura di sbagliare e mi domandavo se in fondo queste convenzioni fossero così necessarie, ma era venuta anche l’ora di confessare i miei peccati, ero venuta per questo e sarebbe stato il massimo mentire proprio adesso, nessuno mi aveva costretta!
Ovviamente confessai di non essere più illibata e non ricordo le parole precise del frate, ma suonavano all’incirca così: “Il vostro matrimonio inizia su basi sbagliate e non durerà”.
Non è stata certo la frase che mi sarei aspettata di sentire, nonostante tutto ero una brava ragazza, 22 anni appena compiuti, che si accostava al sacramento del matrimonio convinta e innamorata.
Mi parve una frase cattiva, crudele, che indicava un destino già segnato.
Non ricordo nemmeno la formula dell’assoluzione, quasi non mi fosse stata data.
Mi era già capitato di non sentirmi accolta, quella volta era un prete. Anche lui non mi conosceva.
Avevo insistito tanto perché il mio fidanzato partecipasse  ad una messa domenicale e, quel giorno, ero riuscita a convincerlo ad entrare nella bellissima chiesa di S. Francesco, dato che eravamo a passeggiare nel centro storico della città.
Entrammo timidamente in chiesa a messa iniziata e ovviamente rimanemmo in fondo.
La chiesa è piuttosto lunga per cui la distanza fra noi e il parroco era notevole.
Ricordo di aver bisbigliato una parola alle orecchie di Mario, contenta di averlo al mio fianco.
La voce possente del prete tuonò: ”Le persone che stanno lì in fondo e disturbano possono anche uscire”.
Non riuscivo a capacitarmi né di come avesse fatto ad accorgersi che eravamo entrati, né di una parola detta sottovoce, comunque non poteva che riferirsi a noi per cui uscimmo subito increduli e offesi.
Forse non si può definire cattolico chi non professa con tutti i crismi e i dettami prescritti la religione, ma io so che se Mario è un ateo è l’ateo più somigliante ad un vero cristiano che io conosca.

Comunque, tornando al 20 agosto 1983, nulla potè turbare il nostro giorno di nozze  di cui oggi festeggiamo il 30° anniversario per nulla scalfitto da alcun malaugurio!




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