Qualcuno definisce la mia poetica
“intimista”.
E’ vero io non parlo
esplicitamente di politica, non tratto argomenti particolarmente importanti,
non mi piace l’enfasi, non amo gli slogan e i grandi discorsi che rimangono spesso
lettera morta, credo invece che la direzione che decidiamo di prendere ogni giorno
e ogni nostra azione in genere - oltre ad una scelta personale – sia anche una
manifestazione politica.
L’errore compiuto in questi anni
tormentati è stato - a mio parere - quello di scindere la politica dal nostro
vissuto quotidiano creando figure politiche esclusivamente intese come “soggetti
di potere” con la conseguenza di attrarre progressivamente sempre più chi era
interessato al potere in senso stretto piuttosto che al poter fare qualcosa per
la collettività. La distanza creata fra popolo soggetto politico e politico soggetto di potere ha impedito all’onesto
cittadino di sentirsi partecipe delle scelte operate dallo Stato, anche se da
lui indirettamente esercitate tramite il diritto di voto e ha invalidato il
senso di utilità di ogni azione quotidianamente effettuata con lo scrupolo del
buon padre di famiglia da ogni singolo individuo. Abbiamo inventato altisonanti
motti, ci siamo spesi in oratorie enfatiche, tronfie e prolisse, studiate a
tavolino sperando di catturare l’attenzione del cittadino verso temi scottanti della politica, ma ci siamo
riusciti?
Forse l’errore è proprio quello
di non parlare più al cuore delle persone, di rapportarci solo come se trattassimo
sempre solo di questioni economiche, pubblicità per clienti da conquistare, prodotti
variopinti per ingolosire, non compagni con i quali costruire una società. Democrazia,
società e cooperazione, nonostante tutto, sono termini ancora da riscoprire.
E’ proprio la disaffezione all’intimismo
che ha allontanato le persone, che fa si che ogni riunione indetta per chiamare
a raccolta le persone, con le motivazioni più disparate, sia vissuta come una
scocciatura, come se fossimo costretti ad acquistare qualcosa, non come un
occasione di costruire qualcosa, come momento di condivisione e discussione.
Queste opportunità di aggregazione vengono eluse, schivate o abbandonate a
favore di un singolarismo che non ha niente a che vedere con la solitudine di
chi si ritira a meditare.
Le correnti “impegnate”
definiscono l’intimismo con un’accezione negativa e ne sminuiscono la valenza
definendola un’espressione di tipo superficiale, ma la nostra parte più
superficiale è la pelle ed è anche il nostro punto più sensibile, quello
attraverso il quale si arriva a toccare il cuore.
Se non riusciamo a dialogare col
mondo interiore delle persone e lavorare perché i sentimenti possano avere la parte
che gli spetta nella nostra storia, ogni battaglia sarà persa, a nulla saranno
valse belle e pompose parole perché è attraverso le emozioni che noi vediamo il
mondo.
Anche se penso che la verità in
senso assoluto non esista, nemmeno se si fotografa la realtà, poichè qualsiasi verità è filtrata dai nostri
ricordi e dal nostro sentire, sono
altresì convinta che vada sempre ricercata l’oggettività quale indispensabile fondamento
per l’espressione di un giudizio imparziale.
Pertanto il mio parlar di me,
nelle mie poesie non intende essere solo mera introspezione, ma anche
comunicazione di uno stato interiore che mi può accomunare a tanti altri, che
contiene problematiche, dubbi, proposte, le cause e a volte anche le soluzioni
per uscire da uno stato personale a volte invalidante, ma che vanno lette fra
le righe. Certo non ho grandi soluzioni, ma è proprio la banalizzazione dei
problemi delle singole persone che aumenta la solitudine di questa vita e quel
disamore verso una politica di persone importanti verso problemi importanti.
Dovremmo ricominciare a stimolare
la fiducia di poter contare qualcosa, che l’onestà sia ancora un valore e la
giustizia si debba e si possa ricercare, stimolare il desiderio di stare insieme non
per sopraffare o venire calpestati ma per essere utili, integrati ed arricchiti.
Da dove vogliamo ripartire per
creare una civiltà accogliente, gettare nuove basi per una società in cui si
rispolverino i vecchi valori dimenticati ma che si integrino con nuovi valori degni
di essere considerati tali? Talenti da non tenere segregati in una cassaforte, che
non servano per riempire le bocche di pance grasse sedute su baldacchini, ma doti
da mettere a disposizione di tutti, da lanciare nelle piazze e nelle strade perché
la gente se ne nutra tutti i giorni perché diano dei frutti.
Sottovalutare il nostro intimo
vuol dire sottovalutare noi stessi, un grande punto di ripartenza invece
potrebbero essere di nuovo le più semplici, antiche, ma grandi domande dell’uomo;
chi sono? cosa vorrei essere? dove voglio andare?
A noi tutti cercare una risposta.