venerdì 31 maggio 2013

ISTRUZIONI SULL’ISTRUZIONE = D'ISTRUZIONE ALL’ITALIANA





Da sempre le forze politiche di qualsiasi tendenza hanno utilizzato come bandiera il riordino della scuola come cardine dei loro programmi,  perno attorno al quale far ruotare tutte le altre riforme sociali. La parola d’ordine è sempre stata istruzione per tutti, elevamento dell’obbligo, collegamento col mondo del lavoro. Invece di provvedere ad effettivi e sostanziali miglioramenti si è ottenuto un impoverimento di contenuti e di valori che hanno senz’altro contribuito a un progressivo abbassamento del livello culturale e un inesorabile esodo dalla scuola. Grave la situazione che si viene a creare quando le aspettative delle persone si riducono e a poco a poco ci si abitua alle negatività. Questa tendenza tutta italiana di appiattire e livellare le nostre prospettive, dove tutto ciò che capita diventa normale, dove tutto si risolve in apatica rassegnazione è assolutamente nemica della progressione e del miglioramento. Questo è il substrato in cui proliferano  le condizioni politiche in cui le decisioni,  invece di mirare al bene collettivo, propendono per interessi meramente personali o di campagna elettorale, hanno gioco le cosiddette norme all’italiana, imprecise, prolisse, numerose e a volte contradditorie.
Parlando di obbligo scolastico, in considerazione del fatto che dovrebbe essere considerato la conquista di una società civile, la Legge 20 gennaio 1999, n. 9 (Berlinguer) "Disposizioni urgenti per l'elevamento dell'obbligo di istruzione" prevedeva all’art. 1 che a decorrere dall'anno scolastico 1999-2000 l'obbligo di istruzione fosse elevato da otto a dieci anni. L'istruzione obbligatoria  gratuita e il progressivo innalzamento dell’obbligo di istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età per il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale.
 Con il passaggio di ministero a Letizia Moratti l'innalzamento dell'obbligo scolastico venne annullato, mentre venne mantenuto l'obbligo formativo. Di fatto l’abrogazione della legge 9/99 ha perseguito una linea strategica ben precisa. 
Legge 28 marzo 2003, n. 53  all'art 2 comma c cita infatti: “è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l’attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale”. Il diritto-dovere  sostituisce l’obbligo scolastico, che viene stemperato in una generica assicurazione del diritto all’istruzione e alla formazione per 12 anni. Per formazione si intende non solo la scuola e la formazione professionale ma anche l’apprendistato,  senza nessuna formazione garantita al di fuori di quella che è in grado di fornire l’azienda. Per respingere le accuse di chi vedeva nell'alternanza uno strumento di avviamento precoce al lavoro il testo della riforma Moratti specificava che le imprese avrebbero accolto gli studenti  “per periodi di tirocinio che non costituiscono rapporto individuale di lavoro”.
IL Decreto Legislativo 15 aprile 2005, n. 76 "Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, a norma dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 28 marzo 2003, n. 53" all'art. 1 comma 3 infatti cita:“La Repubblica assicura a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, costituite dalle istituzioni scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, anche attraverso l'apprendistato di cui all'articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ivi comprese le scuole paritarie riconosciute ai sensi della legge 10 marzo 2000, n.62, secondo livelli essenziali di prestazione definiti a norma dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione” Si introduce qui chiaramente l'apprendistato come modalità di istruzione.
Con la prima legge Finanziaria del nuovo governo Prodi,  ministro Fioroni, attraverso l'art. 1 comma 622 della legge 296 del 2006 , l'obbligo scolastico è stato nuovamente innalzato a 10 anni e, in ogni caso, fino al sedicesimo anno di età. Di conseguenza l'età per l'accesso al lavoro è stata elevata a sedici anni ……….“L'istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L'età per l'accesso al lavoro è conseguentemente elevata da quindici a sedici anni. Resta fermo il regime di gratuità ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226. L'adempimento dell'obbligo di istruzione deve consentire, una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l'acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore, sulla base di un apposito regolamento adottato dal Ministro della pubblica istruzione ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Nel rispetto degli obiettivi di apprendimento generali e specifici previsti dai predetti curricula, possono essere concordati tra il Ministero della pubblica istruzione e le singole regioni percorsi e progetti che, fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche, siano in grado di prevenire e contrastare la dispersione e di favorire il successo nell'assolvimento dell'obbligo di istruzione. Le strutture formative che concorrono alla realizzazione dei predetti percorsi e progetti devono essere inserite in un apposito elenco predisposto con decreto del Ministro della pubblica istruzione. ...."
In seguito il governo Berlusconi ha introdotto, emendando la legge 296 del 2006 attraverso l'articolo 64 della legge 133/08, la possibilità che l'obbligo scolastico, nel rispetto degli obiettivi di apprendimento generali e specifici, sia assolvibile anche attraverso percorsi di istruzione o formazione professionale (apprendistato)……..«L'obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale di cui al Capo III del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e, sino alla completa messa a regime delle disposizioni ivi contenute, anche nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui al comma 624 del presente articolo».
Il Decreto Ministeriale 22 Agosto 2007, n. 139 infatti già citava:
Articolo 1
Adempimento dell'obbligo di istruzione
1. L'istruzione obbligatoria è impartita per almeno 10 anni e si realizza secondo le disposizioni indicate all'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e, in prima attuazione, per gli anni scolastici 2007/08 e 2008/09 anche con riferimento ai percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui al comma 624 del richiamato articolo.
2. L'adempimento dell'obbligo di istruzione è finalizzato al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il 18° anno di età, con il conseguimento dei quali si assolve il diritto/dovere di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76.
I governi Berlusconi, che si sono sempre arrogati il merito di aver elevato gli anni di obbligo, hanno di fatto provveduto - in maniera subdola - a ridurne la reale obbligatorietà introducendo la possibilità di conseguire l’assolvimento dell’obbligo scolastico nella formazione professionale e nell'apprendistato dopo il conseguimento del diploma della scuola secondaria di primo grado.
L’età per l’accesso al lavoro dai sedici anni  è tornata indirettamente ai 15 anni.
Al ministro Gelmini dobbiamo la Legge 30 ottobre 2008, n. 169 che fra l'altro modifica i metodi di valutazione dei ragazzi introducendo la valutazione del comportamento con attribuzione di un voto in decimi, espresso collegialmente dal consiglio di classe, che concorre alla valutazione complessiva delle studente e determina, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso e all'esame conlcusivo del ciclo. Questo ha migliorato la scuola o ha reso la valutazione ancora più soggettiva?
Il MIUR, con circolare n. 14 del 23 gennaio 2012 relativa alle iscrizioni per il nuovo anno scolastico 2013/14 ha recepito il Decreto legislativo n. 167 del 14 settembre 2011 (Testo Unico sull'apprendistato), nel quale sono contenute le indicazioni per l'assolvimento dell'obbligo scolastico dei quindicenni. Secondo l'articolo 3 del Decreto, i ragazzi che hanno compiuto i 15 anni di età hanno la possibilità di assolvere l'obbligo di istruzione (anche coloro che non hanno conseguito la licenza media) tramite la stipula di un contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale. L’art 1 del TU dell’apprendistato definisce: “L’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.”

 Pertanto non si può quindi di certo dire che i ragazzi in apprendistato non siano lavoratori!


Il D.Lgs. n. 167/2011, in applicazione della delega conferita dall’art. 1, comma 30, della L. n. 247/2007, come sostituito dall’art. 46, comma 1, della L. n. 183/2011, ha riformato la disciplina del contratto di apprendistato, abrogando la normativa preesistente che è ora sostituita da un “Testo unico” di soli sette articoli. L’art. 7 del decreto, in particolare, introduce alcune disposizioni volte,
da un lato, ad assicurare il corretto svolgimento del rapporto di apprendistato e, dall’altro, a sanzionare eventuali condotte datoriali non in linea con alcuni principi che devono informare, ai sensi dell’art. 2 del Testo unico, tale tipologia contrattuale. Lo stesso art. 7 introduce inoltre alcune disposizioni volte a regolamentare il passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina consentendo soloper un periodo limitato la stipula di contratti di apprendistato secondo il previgente regime e solo a determinate condizioni.
Le norme contenute nel D.Lgs. n. 167/2011 ‘Testo unico dell'apprendistato, a norma dell'articolo 1, comma 30, della legge 24 dicembre 2007, n. 247’, prevedono la possibilità di conseguire titoli di studio di competenza del sistema dell’IeFP (la qualifica professionale triennale oil diploma quadriennale), mediante il contratto di apprendistato, percorsi valevoli anche per l'assolvimento dell'Obbligo di istruzione, come da Legge 183/2010.
L’articolo 3 demanda la definizione dei profili formativi di questa tipologia di apprendistato alle Regioni e Province autonome, nell’ambito di un accordo da stipulare nella Conferenza Stato Regioni.
L'Accordo in Conferenza Stato-Regioni dei 27 luglio 2011, recepito con decreto interministeriale dell'11 Novembre 2011, integrato dall'Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 19 gennaio 2012, istituisce, ai sensi dell'art . 18 del Decreto legislativo 226/2005, il Repertorio nazionale dell'offerta di Istruzione e Formazione Professionale e comprende figure di differente livello articolabili in specifici profili regionali sulla base dei fabbisogni dei territorio.
L’Intesa fra Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna e Assessorato Scuola del 09/01/2013 conviene di avviare i percorsi sperimentali di apprendistato per l’assolvimento dell’obbligo scolastico tramite gli Istituti Professionali statali compresi nella programmazione IFP. I profili formativi per l’apprendistato per la qualifica e la corrispondenza alle qualifiche professionali regionali conseguibili nel sistema di istruzione e formazione professionali già correlate con le figure nazionali sono stati regolamentati dalla Regione Emilia-Romagna con delibera n 775 dell’11/06/2012.
Peccato che i percorsi sperimentali di apprendistato per l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione di cui all’art. 3 del decreto legislativo 167/11 non siano ancora stati attivati.
In data 9 gennaio 2013 è stata chiesta agli Istituti scolastici di esprimere la propria disponibilità di massima all’attuazione di tale sperimentazione, il 22 aprile 2013 è stato chiesto di presentare ufficialmente la candidatura entro i 18 maggio e il 15 maggio ne è stato prorogato l’inoltro al 30 maggio, ovviamente con preghiera di risposta TEMPESTIVA.
Sono trascorsi 10 anni in cui le normative si sono moltiplicate in un intreccio inestricabile di regole che non hanno ancora portato a niente di veramente concreto, salvo l'esponenziale aumento di dispersione scolastica, esattamente l’opposto del risultato che si voleva raggiungere.
E’ ovvio che le situazioni di incertezza in cui l’esecutività di norme viene rimandata a provvedimenti, regolamenti, accordi successivi, producono lo stesso risultato che si avrebbe in assenza assoluta di norme, in questo caso l’abbandono della scuola da parte degli alunni ancorchè in obbligo.
In riferimento all’obbligo scolastico (D.M. 139/77) necessiterebbe chiarimenti la normativa relativa alla validità dell’anno scolastico ai sensi dell’art. 14, comma 7 DPR n. 122/2009 ed al certificato di competenza (D.M. 9/2010).
Ai sensi del DPR 122/09,  per procedere alla valutazione finale di ciascun alunno,  è richiesta la frequenza di almeno  tre quarti dell’orario annuale personalizzato ed il mancato conseguimento del limite minimo ne comporta l’esclusione dallo scrutinio finale.
Tale anno scolastico, non valido ai fini dell’esito finale, può essere considerato valido ai fini dell’assolvimento dell’obbligo scolastico? (fino a 16 anni a partire dal 2007/2008 ai sensi del D.M. 22 agosto 2007, n. 139 - non si sa più quale norma citare- con il quale è stato innalzato l’obbligo a 10 anni).
Non mi pare che alcuna normativa lo chiarisca esplicitamente, ma la logica vorrebbe di no, almeno la mia.
Un alunno che ha frequentato con esito finale 9 anni di scuola + 1 anno non valutato per ingiustificate assenze (oltre 1/4 dell’orario personalizzato) o per totale mancata frequenza, ha assolto l’obbligo scolastico?
A che pro è stato istituito l’obbligo di frequenza  (¾ dell’orario personalizzato+eventuali deroghe) ai fini della valutazione se poi l’anno viene considerato ai fini dell’assolvimento dell’obbligo scolastico come se  l’alunno avesse regolarmente frequentato senza ottenere la promozione all’anno successivo? Non mi risulta che alunni  non frequentanti abbiano normalmente valutazioni che consentano loro la promozione. Quale deterrente all’assenteismo può essere minacciare una bocciatura che avverrebbe comunque?
Quale significato vogliamo dare alla presenza a scuola?
La norma, così interpretata, non funge né da stimolo alla frequenza, né a formarsi la consapevolezza di di aver scelto un percorso di formazione non adatto a quel particolare alunno in quanto permette di ottenere comunque l’assolvimento dell’obbligo scolastico e l’ingresso nel mondo del lavoro (a patto di trovarlo!).
Comunque sia i ragazzi che non terminano il percorso dei 10 anni d’istruzione, anche in assenza di certificato di assolvimento, potranno perdere tempo fino ai 18 anni, età in cui non avranno più bisogno di tale certificazione, ma resteranno comunque senza alcuna prospettiva per il loro  futuro.
Nel caso in cui si ritienesse valutabile ai fini dell’assolvimento anche l’anno non effettivamente frequentato e quindi non valutato, sorgerebbe comunque il problema circa l’effettuazione del certificato delle competenze e la sua efficacia. Naturalmente questa decisione, in assenza di un chiarimento normativo, viene demandata al parere soggettivo dei Dirigenti Scolastici.
L’Art 1 comma 3 DM 9 del 27.1.10 cita: “i consigli di classe, al termine delle operazioni di scrutinio finale, per ogni studente che ha assolto l’obbligo di istruzione della durata di 10 anni, compilano una scheda, secondo quanto riportato nella seconda pagina del modello di certificato di cui al comma 1. Le schede riportano l’attribuzione dei livelli raggiunti, da individuare in coerenza con la valutazione finale degli apprendimenti…”
Questa certificazione, oltre ai livelli,  dichiara contemporaneamente l’assolvimento dell’obbligo.
L’Art. 1 comma 2 sancisce: “Per coloro che hanno compiuto il diciottesimo anno di età è rilasciata d’ufficio”
Nella nota esplicativa  inviata alle scuole con le indicazioni per una corretta compilazione del modello contenute in una nota scaricata dal sito intranet del ministero, datata 21 aprile 2010 e firmata dal Capo del Dipartimento Giuseppe Cosentino vi erano diverse precisazioni:
…omissis….
“•           Dovrà costituire l’unico modello di certificazione a partire dall’a.s. 2010-11” (cosa vuol dire?)
“•           il certificato è compilato per tutti gli studenti a conclusione dello scrutinio finale delle classi seconde della scuola secondaria superiore……….”
“•           per gli studenti che hanno compiuto il diciottesimo anno e che non sono stati scrutinati a conclusione della seconda classe le scuole rilasciano d’ufficio l’attestazione di proscioglimento……………” (non era più chiaro lo stesso DM?)

Mi pongo alcune domande:


  • dato che uno studente che ha ripetuto l’anno a seguito di una non ammissione ha compiuto ugualmente i 10 anni di frequenza, perché si parla di certificato delle competenze specificando “classi seconde della scuola superiore”?



  •    In sostanza a cosa serve questo certificato? Sarebbe utile saperlo dato che dovrebbe essere l’unico modello di certificazione, ma di cosa e per fare cosa? Se serve solo alle famiglie, mi sembra un po’ riduttivo e inutile.

  •   Se questo strumento è così importante per “favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi ………” e intende rispondere all’esigenza di assicurare alle famiglie informazioni sui risultati di apprendimento in competenze, perché ad es.  nelle competenze relative all’asse dei linguaggi, si fa riferimento alla sola prima lingua straniera.? In una scuola dove si studiano ben 3 lingue straniere ha senso che le competenze siano calcolate solo per l’inglese e che altre materie siano escluse dalla valutazione proprio nel certificato che dovrebbe essere unico e significativo?


  •  Gli alunni  con assenze superiori ad ¼  del monte ore annuale non possono essere valutati quindi il C. di C.  non procede allo scrutinio. Come si potrebbe compilare un certificato delle competenze quando non possono essere presi in considerazione nemmeno gli eventuali voti presenti? Sarebbe d’altronde riduttivo compilare un certificato a competenze zero in ogni  asse culturale. Che valenza avrebbe un simile certificato considerando che dovrebbe costituire un importante strumento atto a sostenere i processi di apprendimento e favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi?
Infatti la nota del Dipartimento dell’Istruzione prot. 1208 del 12/04/10  precisa che l’attestazione di proscioglimento dall’obbligo nel caso di “non scrutinio” a conclusione della seconda classe debba essere rilasciata al compimento del 18° anno.
Dato che il certificato di  proscioglimento  si rilascia a 18 anni  pare  ovvio che si voglia indirettamente  intendere  che non si possa rilasciare  l’assolvimento a chi - pur avendo compiuto i 16 anni - non sia stato scrutinato al termine del 10° anno di scuola, altrimenti basterebbe essere iscritti a scuola e - pur non frequentando – ottenere il certificato di assolvimento, nessuno avrebbe bisogno di ottenere il proscioglimento a 18 anni!

Il grave problema è che in tutto questo marasma chi ne fa le spese sono comunque i ragazzi. Forse qualcosa di buono nelle riforme c'è stato ma si fa molto fatica ad accorgersene in quanto invece di tendere al miglioramento del precedente, si punta a distruggere totalmente il vecchio per dare l'impressione di rinnovare. Migliorare vuol dire conservare il positivo ed eliminare il negativo in una visione complessiva non ristretta ma ampia e proiettata al futuro. Non si possono spacciare per riforme i tagli sulle spese per la cultura perpetrati da tutti i governi, Italia ultima in Europa negli investimenti per l'istruzione, non può sperare di uscire da questo baratro di profonda ignoranza che sfocia in una inevitabile inciviltà.
Tagli sul personale, riduzione delle classi, inevitabile innalzamento del rapporto alunni/docenti, carenze nei fondi d'istituto, strutture obsolete a rischio "sicurezza" e privatizzazioni producono una scuola che sta sempre peggiorando.
Sicuramente i calcoli statistici che tanto piacciono ai nostri ministeri potrebbero a capire qualcosa di più se non fossero utilizzati solo per riempire pagine e pagine di relazioni che nessuno analizza.
Ma al di là dei numeri che comunque indicano un pericoloso allontanamento dei ragazzi dalla scuola, secondo me, non contano tanto le tipologie di materie insegnate, il numero delle ore o degli anni di scolarità, quanto la qualità dell’insegnamento, degli stimoli che si inviano, la curiosità del sapere.
La scuola italiana ha un impatto negativo sugli studenti perchè propone insegnamenti ripetitivi, uniformati e poco flessibili che male si adattano alle richieste e agli interessi specifici ed individuali degli studenti.
I programmi scolastici obbligano ancora gli studenti ad uno studio nozionistico e mnemonico  poco attraente per ragazzi che per crescere hanno necessità di un confronto umano in un contesto che non li sminuisca ma che gli consegni le basi per il loro sviluppo, l'incoraggiamento e l'impulso verso una vera formazione che duri tutta una vita.







domenica 26 maggio 2013

Un gufo quasi "reale"



Finalmente posso mostrarvi il mio nuovo lavoro, il primo dopo l'infortunio che ho subito al polso, la riabilitazione non è ancora completa, ma ho potuto fortunatamente già riprendere a dipingere.
Il fatto di non poter dipingere, devo confessarvi, era una delle mie più grandi preoccupazioni e ora sono di nuovo felice.

Ecco  il sasso che ho scelto, io ci vedevo un gufetto con la testa storta

 
ed ecco la foto di riferimento che ho trovato



per prima cosa ho abbozzato la testina




qualche giorno fa non mi voleva abbandonare e si è nascosto nella mia borsa,
in realtà quando inizio un lavoro mi risulta difficile separarmene e capita che lo porti con me


sullo sfondo sul computer un'altra foto, mi servono per cercare di essere il più realista possibile


fase di lavorazione delle penne

ed ecco il gufo reale finito!







retro



Cosa ne dite di leggere qualche notizia a proposito

 del gufo reale?

ll gufo reale (Bubo bubo) raggiunge una lunghezza di 70 cm ed un'apertura alare di 190 cm. Possiede  grandi occhi giallo-oro, il piumaggio è fulvo, più scuro sul dorso, macchiettato e striato di bruno. Caratteristica tipica del gufo reale sono i due ciuffi di penne erettili sopra gli orecchi.
E' presente in quasi tutta l'Europa, nell'Africa settentrionale ed in gran parte dell'Asia. Non è presente nelle isole britanniche, nella Francia settentrionale, in Olanda e in Danimarca.
In Italia è diffuso ovunque, tranne che in Sardegna. 
Il gufo reale abita in foreste alpine, steppe e città, dove di giorno si nasconde nelle crepe dei muri. Preferisce comunque le regioni montuose, dove si spinge sino ad un'altitudine di duemila metri. Nelle pianure la sua presenza è limitata alle grandi foreste, in particolare nei boschi con scarpate rocciose. Depone da 2 a 3 uova, bianche, tondeggianti e con il guscio ruvido, che vengono covate dalla femmina, nutrita dal maschio, per circa trentacinque giorni. Saranno poi entrambi i genitori a procurare il cibo per i piccoli.
Un gufo reale allo stato libero può vivere anche diciannove anni, mentre ci sono segnalazioni di gufi tenuti in cattività che hanno superato il sessantesimo anno di vita.
Si è osservato che i gufi reali adulti vanno a cibare i loro piccoli tolti dal nido e chiusi in gabbie all'aperto. Esce al tramonto e all'alba in cerca di prede, in particolare piccoli mammiferi ed uccellini, mentre di giorno resta nelle fessure delle rocce o fra i rami degli alberi, tenendo le penne aderenti al corpo e i ciuffi degli orecchi abbassati.
Il gufo reale, da tempo cacciato dall'uomo, è oggi una specie protetta e sembra in pericolo di estinzione. Il suo areale di distribuzione si sta infatti riducendo e i piccoli spesso cadono vittime dei fili dell'alta tensione.











sabato 18 maggio 2013

Ero pazza e sono guarita?




Da bambina pensavo: “Gesù fammi riposare, fammi smettere di pensare”, parlavo da sola e mi davo risposta, insomma ero compagna di me stessa, mi domandavo perché la luna mi seguisse e fantasticavo immaginando quante persone avessero pensato o fatto la stessa cosa nello stesso momento in tutto il mondo.
Mi domandavo se fosse vero che eravamo unici e irripetibili o se avessimo da qualche parte un nostro doppio identico, su questo o su un altro pianeta.
Da bambina, sono sicura, ero pazza; anche se sarò tediante, non voglio rinnegare una riga di quanto scrivo, sarebbe come tradire me stessa.
Dicevo, da bambina ero pazza, di una pazzia che a volte mi consolava, a volte mi faceva soffrire.
Vedevo mio nonno paterno, direte che è normale…. peccato che mio nonno fosse morto quando io avevo solo due anni; lo vedevo spesso camminare per la strada, io per un po’ lo seguivo ma lui non mi riconosceva. Nessuno in casa si è mai saputo spiegare perché ricordassi con tanta precisione e dovizia di particolari il breve periodo della vita passata insieme.
Ricordo un viale alberato mentre mi portava sul seggiolino della sua bicicletta a comperare le cipolle cotte nel forno a legna, ricordo che mi avvicinavo al tavolo da pranzo e gli tiravo la giacca quando mangiava il carciofo e arrivava al cuore che mi cedeva divertito. Avevo solo un anno quando la nonna paterna è morta, ricordo il suo reggiseno con la coppa imbottita per mascherare la mastectomia, ricordo il suo letto coniugale, suo capezzale e la sua passione per il ghiacciolo alla menta.
Per anni mi è rimasto il terrore che questa terribile malattia  potesse privarmi del simbolo stesso della  femminilità, della maternità, forse l’unica cosa a cui non pensavo era la vita. Durante l’adolescenza scrutavo con ansia il mio seno appena abbozzato e avevo paura, paura che non l’avrei mai avuto, paura che non avrei mai allattato i figli che già desideravo e avevo comunque il terrore che prima o poi l’avrei perso. Ricordo che un giorno, correndo in un campo, sono inciampata e cadendo sono andata a sbattere con lo sterno contro un irrigatore. All’epoca si diceva che i colpi potessero favorire il “male”, mi parve che non ci fosse più scampo. Se su un giornale si parlava del “brutto male” correvo a lavarmi persino le mani come se quelle pagine di carta stampata potessero contagiarmi. Dopo tanti anni ho saputo che il rischio di trasmissione genetica di questo male corre per via femminile e quindi non avrei avuto più probabilità di ammalarmi di qualunque altra donna. 
Perché ho ricordi così nitidi di quando ero piccina? Come faccio  a ricordare la mamma che mi cambiava sul tavolino di marmo della cucina che era accanto alla stufa e mi lavava il sedere nel lavandino?
Da bambina pensavo che fosse un bel gesto donare, al di fuori della chiesa, i soldi della paghetta appena ricevuta dopo la consueta visita domenicale alla nonna materna, erano gli unici soldi che ricevevo ogni tanto, a parte le 10 lire per ogni dieci preso alla scuola elementare, premio di una vecchia zia quasi cieca e  che custodivo come un vero tesoro in un salvadanaio. Ho scoperto con delusione, dopo essere stata redarguita, che la nonna non la riteneva una cosa buona. Ma come! Il prete dice di donare ai poveri; ah, forse non è certo che sono poveri? Forse sono fannulloni? Ma, a proposito, perché la Chiesa predica la povertà ed è straricca e spende e spande per i suoi edifici, non credo che a Gesù Cristo interessi tutto questo sfarzo! Scusa nonna se non m’importa! Uguale principio, che per essere gentile chiamo diffidenza, l’ho trovato poi presente con stupore proprio nell'ambiente ecclesiastico dove si consiglia vivamente di non fare offerte per strada, ma di devolverle  alla Chiesa che penserà poi a ridistribuirle ai poveri. Insomma, non bisogna fare la carità agli sconosciuti! La cosa, detta così,  mi è parsa discutibile dato che mi avevano insegnato a tendere la mano ai bisognosi. Ho visto cacciare via da ambienti caritatevoli un extracomunitario che cercava un paio di scarpe perché non era orario di apertura al pubblico e perché non era del quartiere.  Ho visto allontanare ragazzi che volevano giocare a pallone dinanzi alla chiesa solo perché disturbavano le case vicine e poi bisognava pagare l’illuminazione perché era sera. Meglio farli andare al bar.
Anche questo mi è sembrata un’interpretazione della Parola molto discutibile.
Fin da piccola mi hanno insegnato che se si cammina sulla retta via, l’anima dopo la morte va in Paradiso con tutti i benefici del caso. Avevo sei anni quando improvvisamente è morto un caro zio. Ricordo che non capivo perché tutti piangessero. Dicevo: “Non piangere, adesso è ancora più felice e poi quando moriremo lo ritroveremo in paradiso”. Beata innocenza, in seguito ho imparato a piangere tanto bene che quando mi capitava di andare, per dovere di educazione, a funerali di persone che non conoscevo, mi disperavo tanto che pareva che il defunto fosse un mio caro e, più mi immedesimavo, più piangevo. 
Sono sempre sembrata timida ma coraggiosa al tempo stesso, cercavo di farmi forza perché amavo i miei genitori, ma la paura è sempre stata una costante, ma non paura per me stessa, paura di procurare dolore o danno ad altri, conosciuti o sconosciuti poco importava.
Immaginavo cose assurde, che un mio sbaglio potesse far cadere in errore qualcuno, che a causa della mia malignità, indolenza o incapacità qualcuno potesse pagare per qualcosa di cui io ero l’artefice principale, quindi il mandante. Questo pensiero limitava la capacità di scegliere quello che volevo veramente, cercavo solo  di non fare una scelta che potesse coinvolgere indirettamente altre persone da trascinare con me nel baratro, non ero sicura dell’esistenza degli inferi ma, nel caso fossero esistiti, non volevo infilarci qualcuno per colpa mia.
Nella mia testa di contestatrice però quale fosse o non fosse  “peccato” non era ben chiaro e l’insicurezza limitava ancor più i miei movimenti, la mia idea era di larga manica, ma il mio dovere era di essere restrittiva per il bene altrui.
Il senso di colpa non so chi te lo inculchi, non so se nasce con te o se dipende dall’educazione ricevuta o dal tuo vissuto. Mi è sempre piaciuto arrivare a fondo delle cose capendole, non ho mai sopportato di saper fare una cosa senza comprenderne il significato; anche questo è un limite perché se sai fare una cosa che oggi non capisci a fondo, domani se ne comprendi l’importanza la potrai utilizzare.
Difficilmente ho potuto memorizzare e fare mie cose che non capivo e per questo sono stata fondamentalmente una contestatrice. Contestare può essere segno di grande riflessione come di grande ignoranza.
Tante le domande che mi riempivano il cervello, quesiti che immagini di risolvere quando sarai grande e capirai. Perché c’è una distinzione così netta nel giudizio della gente fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, fra il bello e il brutto, come se non esistesse in mezzo nessuna sfumatura, tanta sicurezza quando ci si rivolge ad un pubblico, ma quando la valutazione riguarda la nostra vita privata nascono tante possibilità intermedie? 
Per fortuna che questo accade, ma non è una forma di ipocrisia?
Se è vero che la sofferenza è il prezzo del nostro peccato e nello stesso tempo il prezzo per la nostra resurrezione perchè gli animali non hanno un'anima ma soffrono anche loro?
Perché il colore della pelle deve avere tanta importanza?
Perché è meglio essere bianchi e poi essere schiavi dell’abbronzatura a tutti i costi?
Quando ero bambina - a Piacenza - c’erano pochissimi stranieri, ma qualcuno veniva a studiare all’Università Cattolica. Erano senegalesi, forse benestanti dato che potevano permettersi l’università in Italia, ma erano comunque guardati “male”. Io li ammiravo e quasi li invidiavo, avrei voluto fargli capire che non li discriminavo, non mi interessava il colore della loro pelle, anzi la trovavo fantastica, lucida, vellutata.  Avrei voluto essere nera, mi sarei sentita dalla parte dei giusti, degli oppressi. 
Quando giocavo con gli amici di mio fratello volevo stare nel gruppo degli indiani, quando tutti volevano fare i cow-boys che li ammazzavano. Ricordo che a Barcellona, durante una corrida, i mei genitori sono stati costretti a tapparmi la bocca perché facevo il tifo per il toro. Quante cose non ho  capito e non capisco.
Non capisco perché le donne non possano essere valutate per quello che sono, essere donna però mi piace, non vorrei essere uomo nemmeno un minuto, così, per prova. Mi sono sempre sentita femmina anche se non mi sono mai piaciuta esteticamente parlando. Perché  le donne  devono  essere sempre sfruttate, sfruttate fino al midollo e l’uomo nemmeno se ne accorge. Non che essere donna voglia dire essere brava e intelligente e buona però portiamo nel nostro DNA il peso di tanto malcostume e ingiustizia che non ne possiamo proprio più, ma non sappiamo come uscirne. L’unica via d’uscita è l’educazione che diamo ai nostri figli, ma ci vorrà ancora tanto tempo perché le donne stesse si devono prima liberare dai condizionamenti che subiscono da sempre per poter essere delle educatrici equilibrate e serene. Non sopporto assolutamente di essere trattata come una specie da tutelare,  dobbiamo subire delle regole assurde come le quote rosa. Non vogliamo niente gratis, vogliamo conquistarcelo.
Perché il petto di un uomo che gira per strada a torso nudo non fa scandalo? Un uomo può essere grasso e pelato ed essere considerato bello. Perché se tocco la gamba di un uomo è una gamba e se un uomo tocca la mia è un approccio sessuale? In fondo il corpo è solo carne. Tieni le gambe a posto, signorina! Diceva una mia zia vedova e senza figli. Non sopportavo che s’intromettesse nell’educazione che mia madre mi dava e che mio fratello potesse tenere in quanto uomo un comportamento diverso dal mio. Non mi piacevo, ma pensavo che presi singolarmente, occhi, bocca, orecchie, non avevano niente di sbagliato, non capivo come mai, nell’insieme io mi sentissi così brutta.
A volte mi stendevo sul tappeto e stavo lì, fin che ce la facevo, senza respirare. Aspettavo che qualcuno si accorgesse di me pensandomi morta o agonizzante, ma non ha mai funzionato, era solo un gioco.
Di certo non ho mai messo in dubbio l’amore di mia madre nei miei confronti, non so che cosa volessi di più di quello che già mi dava. E mangiavo, mangiavo e ingrassavo e mi prendevano in giro bambini conosciuti e sconosciuti, mi sentivo inadeguata. Ricordo che un giorno, avrò avuto 10 anni, ho mangiato da sola una faraona alla panna e non so quant’altro. Quando ho capito che qualcosa non andava ho chiesto aiuto, volevo andare da un dietologo, ma mio padre mi ha offerto in cambio una visita psichiatrica.  Sua figlia era perfetta, forse era solo matta. Magari l’avesse fatto davvero! Mi sono aiutata da sola, ho smesso di mangiare, ma dallo psichiatra avrei dovuto andarci ugualmente perché mangiavo troppo poco.
Mi piaceva troppo il cibo e anche la vita era una sfida  cosicchè, complice lo “sviluppo” sono dimagrita, ho ricominciato a mangiare e ho iniziato a volermi non dico bene, ma di sicuro meglio. Però ero pazza lo stesso. Pazza ma perfetta perché da un genitore perfetto non può che nascere un figlio perfetto. Certo perfetta come potenzialità, ma da mio padre non ho mai ricevuto un complimento, una gratificazione o per lo meno non me ne sono accorta. 
Quando frequentavo la scuola elementare, capitava che alcune mie compagne ogni tanto andassero all’ospedale per qualche piccolo intervento. Magari fosse capitato a me pensavo...... Se mi fossero venuti a trovare avrei avuto  l’opportunità di rendermi conto se a qualcuno importava di me. Ho pregato che mi venisse l’appendicite, mio fratello aveva rischiato la peritonite e mi pareva fortunato.
La  moda cambia, ma a volte è strano. Pensate che quando ero ragazzina, e non era medioevo, i maschi andavano a scuola con i calzoni corti anche d’inverno: ora se ti presenti a scuola così ti arriva una nota sul registro “veste in modo non consono”. A volte non so se eravamo più bigotti allora o adesso.
Sono confusa, forse rientra nel problema della mia pazzia. 
Che differenza fa. Capelli lunghi o corti, barba o non barba….. ma che barba! Tutte cose inutili, solo apparenza e niente sostanza. “Papalone, te quiero mucho!” ti dicevo padre mio all’età di 2 anni, ma quando ho cominciato ad avere paura sentendo il tintinnio delle tue chiavi  mentre ti avvicinavi alla porta di casa?
Mia madre era un angelo, non ci sono molte parole per descriverla, la persona più sincera e disponibile che io abbia conosciuto, un carattere dolce, senza difetto alcuno se non quelli che lei stessa dichiarava con la sua trasparenza. Avrei voluto somigliare a lei, a lei che amava la vita e le persone come se tutto fosse bellezza, a lei che è morta a solo 53 anni.
Solo un anno in più ed anch’io avrò la stessa età e ho sempre pensato che per me è impossibile superare quella soglia perché non riesco ad immaginarmi – vecchia - fra le braccia della mia bellissima mamma. Non che non portassi amore per mio padre, lo stimavo per l’altruismo e la bontà che sapevo avere dentro, avevo riscontri tangibili, persone che mi ringraziavano per strada per la sua generosità, ma il suo carattere chiuso, esageratamente severo, me lo rendeva incomprensibile, ostile e inaccessibile. No perché no, si perché si; non è facile da accettare, così come non era facile accettare l’eccessivo nervosismo verso la mamma e verso qualsiasi cosa si facesse senza il suo preventivo consenso. 
Loro si amavano, ma io avrei voluto che si separassero per vedere la mamma libera di esprimersi, di volare come meritava. Strano no? Di solito i figli vogliono tenere i genitori uniti anche nei casi più disperati, io al contrario li volevo dividere, altro sintomo della mia pazzia? Mio padre ora è un morbido pezzo di pane.
Le manie sono state per anni il mio grande problema; paura di non aver chiuso bene la porta di casa, paura di aver lasciato il gas aperto, paura di non avere staccato la spina del ferro da stiro. Queste ed altre fobie erano alimentate dal terrore che una mia dimenticanza potesse procurare un danno grave ad altri, non potevo rischiare di arrecare un danno per mia colpa. Il senso di colpa in me era fin troppo ben radicato. Queste psicosi mi hanno tormentata per anni rendendomi la vita pesantissima, ad ogni cosa che facevo associavo un effetto potenzialmente pericoloso per ricaduta su altri.
Per la porta di casa si apriva il discorso ladri, non per quello che potevano rubare, c’era ben poco, ma per il pericolo di trovarli in casa, per il gas immaginavo già il palazzo esploso, il ferro da stiro invece la causa di un corto circuito con annessi fuoco e fiamme e così via…. Ma non solo queste eventuali dimenticanze mi ponevano problemi, anche azioni od omesse azioni.
Ormai ero grande ma i miei fantasmi continuavano a perseguitarmi. A 18 anni non volevo prendere la patente per non essere causa di inquinamento e per non rischiare di fare incidenti e fare male a qualcuno. Fortunatamente, dopo la maturità, alla prima domanda di lavoro mi dissero che se  non ero automunita, di lavorare,  non se ne parlava nemmeno, quindi mi iscrissi all’autoscuola. 
Come tante ragazze della mia età ho ricevuto insegnamenti derivanti dalla cultura cattolica. Fare domande a quei tempi non era utile, si trattava solo di ottemperare  comandamenti e rispettare  dogmi. Diciamo che per una che digeriva solo quello che capiva era già un grosso problema ma era anche acuito dal fatto che mio padre diceva che i preti non sbagliavano mai perché Dio parlava per loro tramite. Sta di fatto che nonostante contestassi tantissime cose della Chiesa, mi restavano incollate addosso  un’infinità di paure indotte da quell’insegnamento.
Mi sono chiesta un giorno quale fosse il mio ultimo desiderio prima di morire. Ero molto giovane ed ho pensato che avrei voluto provare cosa volesse dire fare l’amore….. e poi mi sono detta: "Brava! Fai una vita cercando di evitare i peccati e poi, sai che devi morire e scegli proprio il peccato che hai cercato di evitare fino ad ora per andare all’inferno in compagnia?"
E mi convinsi che era giunta l’ora di scegliere e di concedermi all’amore della mia vita, ma nonostante le precauzioni per non rimanere incinta, quando mi ammalavo, cercavo di non prendere medicine che potessero danneggiare un feto, non si sa mai!
A volte ho desiderato morire anche se non so fino a che punto, forse è una sensazione che prima o poi provano tutti, almeno per un attimo, ma comunque non rientrerebbe nelle  mie possibili opzioni far soffrire qualcuno per un procurato decesso per cui mi sono sempre tenuta salda la mia vita finchè morte naturale o accidentale ci separi. 
E’ il dolore degli altri che non riesco a sopportare, non capisco il motivo per cui la vita regala a qualcuno tanta gioia e a qualcuno tanto dolore, a volte senza mezze misure. 
Proprio perché non sopporto il dolore altrui, ho gettato nella spazzatura il diario della mia adolescenza.
Anche se con qualche problema di “pazzia giovanile” io sono fra le persone che immeritatamente hanno avuto una vita di gioia e pure questo, tanto per cambiare, mi fa sentire colpevole!
Ma la mia vita ha fatto un autentico balzo in avanti dal momento in cui all’età di circa 16 anni ho conosciuto il ragazzo con il quale sono sposat da 30 anni.
Un'accoppiata vincente, mi ha aiutata a crescere liberandomi a poco a poco dalla zavorra che mi impediva di essere me stessa, ha sciolto le catene con le quali io stessa mi ero legata.
Questa fase della mia vita è ancora in evoluzione, ci sto ancora lavorando, ma questa è un’altra storia.