Ti è mai capitato di
parlare e sentirti come un principiante ad un tavolo di ping pong?
Interloquire
con qualcuno è un pò come battere la pallina e aspettare che venga
respinta, il corpo teso in un fascio di muscoli e nervi in attesa di vedere da
quale parte rimbalzerà, per non perdere
l’opportunità di rispondere, per capire l’avversario, seguire ogni suo
guizzo. Capita spesso però che - invece di scaricare la tensione dell’attesa -
ti ritrovi a caricarti di una disarmante delusione. Non solo non riuscirai a
colpire quella pallina, non la vedrai nemmeno, come inghiottita da un buco nero
tetro e buio come la notte senza luna e senza stelle perché il tuo compagno
non vuole proprio giocare la partita,
anzi , non si è nemmeno accorto di essere in campo.
Non è da tutti saper
ascoltare, cogliere le necessità espressive degli altri, essere interessato
anche solo a valutare la possibilità di interagire e ti senti stupido
aspettando una risposta che non ci sarà e la partita è già persa, sì perché qui
non vale la regola che vince chi non si presenta, perdenti sono entrambe le parti anche se in
quel momento se ne accorge solo una, quella che desiderava confrontarsi.
Il paragone con la
pallina mi piace perché rende l’idea delle aspettative che si hanno nell’attesa
di una risposta, ma nel dialogo non dovrebbero esserci avversari, solo
giocatori in allenamento che si scambiano esperienze, la differenza è che si
gioca con la vita, con i sentimenti.
Quale altra cosa assomiglia di più alla
solitudine che avere dinanzi una persona che non ha interesse ad
ascoltarti? Non credo si tratti di
egocentrismo, ma di una vera e propria necessità di “essere” veramente soggetto che testimonia la propria
individualità.
Quando la società ha
cominciato a rinnegare se stessa coltivando invece un esasperato
individualismo?
Nonostante la
massiva presenza di mezzi di comunicazioni di massa dei quali peraltro non
riusciamo più a far a meno, la cultura dell’apparire più che dell’essere, ci
ritroviamo stranamente in un’epoca nella quale tutti si cammuffano o si
nascondono. Dobbiamo dimostrare di essere meglio di altri o avere più di altri non importa con
quale metodo, non conta se ci falsifichiamo o se il possesso di quelle cose non ci
interessa veramente, ma perché?
Perché da un lato
vogliamo apparire e dall’altro ci nascondiamo dietro pseudonimi?
Tutti scrivono
su social network , chattano, mandano mail, commentano qualsiasi cosa, ma
difficilmente espongono la vera identità. La libertà di opinione e di
espressione in tutte le sue forme – se lecite - è sacrosanta, ma credo che per
avere diritto ad esercitarla sarebbe doveroso qualificarsi pubblicamente. In
parole povere “ficchiamo il naso”
volentieri nei fatti altrui ma garantendoci il sacrosanto anonimato,
liberi quindi dal risentire dei giudizi
sul nostro operato che non lesiniamo sulle opinioni od operato altrui.
Abbiamo ideato regole che chiamiamo della trasparenza e
regole che chiamiamo della riservatezza, ma non sortiscono l’effetto
desiderato, rimane difficilissimo avere chiarimenti su procedimenti che
dovrebbero essere limpidi mentre i nostri dati personali continuano a circolare
e sono manipolati per scopi spesso non
chiari. L’unica cosa chiara è che in entrambi i casi alla base c’è oltre ad un
fatto di “cultura italiana”, una
motivazione economica.
Nessun commento:
Posta un commento