venerdì 27 marzo 2015

alla ricerca di risposte

Qualcuno definisce la mia poetica “intimista”.
E’ vero io non parlo esplicitamente di politica, non tratto argomenti particolarmente importanti, non mi piace l’enfasi, non amo gli slogan e i grandi discorsi che rimangono spesso lettera morta, credo invece che la direzione che decidiamo di prendere ogni giorno e ogni nostra azione in genere - oltre ad una scelta personale – sia anche una manifestazione politica.

L’errore compiuto in questi anni tormentati è stato - a mio parere - quello di scindere la politica dal nostro vissuto quotidiano creando figure politiche esclusivamente intese come “soggetti di potere” con la conseguenza di attrarre progressivamente sempre più chi era interessato al potere in senso stretto piuttosto che al poter fare qualcosa per la collettività. La distanza creata fra popolo soggetto politico e  politico soggetto di potere ha impedito all’onesto cittadino di sentirsi partecipe delle scelte operate dallo Stato, anche se da lui indirettamente esercitate tramite il diritto di voto e ha invalidato il senso di utilità di ogni azione quotidianamente effettuata con lo scrupolo del buon padre di famiglia da ogni singolo individuo. Abbiamo inventato altisonanti motti, ci siamo spesi in oratorie enfatiche, tronfie e prolisse, studiate a tavolino sperando di catturare l’attenzione del cittadino verso  temi scottanti della politica, ma ci siamo riusciti?

Forse l’errore è proprio quello di non parlare più al cuore delle persone, di rapportarci solo come se trattassimo sempre solo di questioni economiche, pubblicità per clienti da conquistare, prodotti variopinti per ingolosire, non compagni con i quali costruire una società. Democrazia, società e cooperazione, nonostante tutto,  sono termini ancora da riscoprire.
E’ proprio la disaffezione all’intimismo che ha allontanato le persone, che fa si che ogni riunione indetta per chiamare a raccolta le persone, con le motivazioni più disparate, sia vissuta come una scocciatura, come se fossimo costretti ad acquistare qualcosa, non come un occasione di costruire qualcosa, come momento di condivisione e discussione. Queste opportunità di aggregazione vengono eluse, schivate o abbandonate a favore di un singolarismo che non ha niente a che vedere con la solitudine di chi si ritira a meditare.

Le correnti “impegnate” definiscono l’intimismo con un’accezione negativa e ne sminuiscono la valenza definendola un’espressione di tipo superficiale, ma la nostra parte più superficiale è la pelle ed è anche il nostro punto più sensibile, quello attraverso il quale si arriva a toccare il cuore.
Se non riusciamo a dialogare col mondo interiore delle persone e lavorare perché i sentimenti possano avere la parte che gli spetta nella nostra storia, ogni battaglia sarà persa, a nulla saranno valse belle e pompose parole perché è attraverso le emozioni che noi vediamo il mondo.

Anche se penso che la verità in senso assoluto non esista, nemmeno se si fotografa la realtà,  poichè qualsiasi verità è filtrata dai nostri ricordi  e dal nostro sentire, sono altresì convinta che vada sempre ricercata l’oggettività quale indispensabile fondamento  per l’espressione di un giudizio imparziale.
Pertanto il mio parlar di me, nelle mie poesie non intende essere solo mera introspezione, ma anche comunicazione di uno stato interiore che mi può accomunare a tanti altri, che contiene problematiche, dubbi, proposte, le cause e a volte anche le soluzioni per uscire da uno stato personale a volte invalidante, ma che vanno lette fra le righe. Certo non ho grandi soluzioni, ma è proprio la banalizzazione dei problemi delle singole persone che aumenta la solitudine di questa vita e quel disamore verso una politica di persone importanti verso problemi importanti.

Dovremmo ricominciare a stimolare la fiducia di poter contare qualcosa, che l’onestà sia ancora un valore e la giustizia si debba e si possa ricercare, stimolare il desiderio di stare insieme non per sopraffare o venire calpestati ma per essere utili, integrati ed arricchiti.
Da dove vogliamo ripartire per creare una civiltà accogliente, gettare nuove basi per una società in cui si rispolverino i vecchi valori dimenticati ma che si integrino con nuovi valori degni di essere considerati tali? Talenti da non tenere segregati in una cassaforte, che non servano per riempire le bocche di pance grasse sedute su baldacchini, ma doti da mettere a disposizione di tutti, da lanciare nelle piazze e nelle strade perché la gente se ne nutra tutti i giorni perché diano dei frutti.

Sottovalutare il nostro intimo vuol dire sottovalutare noi stessi, un grande punto di ripartenza invece potrebbero essere di nuovo le più semplici, antiche, ma grandi domande dell’uomo; chi sono? cosa vorrei essere? dove voglio andare?

A noi tutti cercare una risposta.


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